ANCORA SU COVID-19 E LIBERTA’ COSTITUZIONALI IN STANDBY

 di ENRICO ROMANO

Siamo in guerra! Contro un nemico che - sembra chiaro, ormai - ha solo reagito alle nostre “provocazioni” ed al nostro disinteresse per le “minacce” neppure tanto velate che ci ha inviato per indurci a desistere da comportamenti sconsiderati. Secondo alcuni madre terra sta utilizzando un alleato invisibile e subdolo per farci meditare , stiamo pagando a caro prezzo le scelte scellerate dal dopoguerra in poi. Si sente ora più forte l’eco del grido di allarme di una quindicenne svedese , voce che grida nel deserto

delle presunte conquiste della tecnologia e delle fragili mete della globalizzazione? Sicuramente si. “Ci hanno privati della primavera”, come racconta il saggio Capitano del Liber Novus di C.G. Jung , il nostro Paese (ed ora non più solo il nostro) è in stand-by. La primavera la porteremo dentro di noi ! Per il bene della collettività il Presidente del Consiglio dei Ministri , ha messo in campo (qualcuno ritiene tardivamente) delle misure mai adottate prima, stiamo, così, accettando delle limitazioni ad alcune libertà costituzionali, prima tra tutte la libertà di circolazione sancita dall’ art.16 secondo cui “ogni

cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.

Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”. Rispetto allo strumento utilizzato , ossia il DPCM (norma di secondo livello) , sarebbe stato forse preferibile – e credo

possa esserlo per il successivo periodo– avvalersi del Decreto Legge con successiva conversione in legge e partecipazione nella formazione di tutte le forze politiche. Ebbene, non sono solo i vari DPCM che si stanno susseguendo ma anche gli stessi provvedimenti delle Regioni, talora ancor più restrittivi (poi ripresi dal recente DPCM), hanno di fatto “sospeso” alcuni fondamentali diritti costituzionali . Del resto, se invochiamo l’impegno dello Stato di garantire il diritto alla salute (art.32 Cost. ) non dobbiamo sorprenderci che, per mantenere tale promessa costituzionale, vengano utilizzate misure straordinarie, ricadendosi nell’ eccezione prevista dall’art.16 . Sta di fatto che oltre al diritto alla libertà di circolazione altri diritti fondamentali sono stati oggetto di limitazione : il diritto all’istruzione (artt.33,34 Cost.), diritto al lavoro (art.4 Cost.), diritto alla iniziativa economica privata (art.41 Cost.) nonché il diritto alla tutela giurisdizionale (art.24 Cost.). Mentre per i primi tre si sono, tuttavia, previste delle forme alternative di attuazione di quella che ho sopra definito “promessa costituzionale” (smart working, telelavoro, e-learning, riconversione, CIGS, ecc.) , meno si è fatto per il settore Giustizia che, come se non bastasse la situazione in cui versa, sembra essere ora in un limbo, non saprei

se per la non completa attuazione della normativa sul cosiddetto processo telematico , per la mancanza di strumentazione e di formazione o di significativi stanziamenti. Di recente vi sono stati, però, i primi interventi (per vero sin da subito sollecitati a gran voce dall’Avvocatura), che fanno ben sperare.

Intendiamoci, non è certo in atto una rievocazione in chiave moderna del principio dello “stato di eccezione” che si contrappone allo “stato di diritto” come teorizzato da Carl Schmitt ! Vero è che il filosofo Giorgio Agamben ne ha sempre intravisto dei barlumi nelle attuali società; nell’esaminare lo “stato di eccezione” lo definisce addirittura come un “vuoto giuridico”, una sorta di sospensione del diritto legalizzata , uno iustitium. Non sarebbe certo d’accordo Agamben con quello che sto per dire, lui che nel 2003 ha lasciato l’incarico di docente presso la NYU, dichiarando di non essere disposto a farsi schedare , fornendo le proprie impronte digitali come previsto dalla normativa di controllo imposta dal governo statunitense ai cittadini stranieri che si recano negli U.S.A. Vengo al punto. Primum vivere, deinde philosophari, suggeriva Orazio: il baluardo privacy potrebbe rischiare, nel caso del Covid-19, di trasformarsi in un altro alleato “burocratico” del virus? E’ di questi giorni la notizia del notevole risultato ottenuto dalla Korea del sud che, grazie all’utilizzo della sofisticata tecnologia di geolocalizzazione satellitare tramite smat-phone (oltre che eseguendo preliminari tamponi “a tappeto” ) è riuscita a contenere la diffusione del contagio da coronavirus. Sono state messe in campo delle restrizioni alla privacy per controllare/monitorare costantemente la vita dei cittadini, i loro eventuali spostamenti. Il governo Coreano in vari step ha dapprima eseguito una vera e propria mappatura dei soggetti risultati “positivi” al Covid-19 ed ha poi reso noti non solo i nominativi dei contagiati ma anche “dati sensibili” (luogo di residenza, luogo di lavoro, ecc.) ed ha reso infine fruibili tutti questi dati (acquisiti anche tramite le telecamere di sorveglianza sparse sul territorio) attraverso delle app da scaricare gratuitamente sul proprio cellulare in modo tale che ogni cittadino coreano ora è in grado di conoscere “in tempo reale” a che distanza si trovi un caso di contagio o se egli stesso abbia , inconsapevolmente, avuto contatti con una persona colpita dal virus ; il cittadino può così adottare ulteriori misure precauzionali.

Non credo si possano validamente paventare gli eccessi di Singapore (che ha addirittura implementato il sistema di controllo con un monitoraggio diretto dei contagiati che sono raggiunti da periodici SMS cui devono rispondere inoltrando un selfie per provare di essere in casa, consapevoli di non poter mentire anche per l’utilizzo del sistema di geolocalizzazione satellitare!) ma se nel nostro Paese – ovviamente non paragonabile quanto alle forme di governo a quello di Cina e Korea del Sud- dei diritti costituzionali hanno ceduto il passo rispetto al bene salute, perché non potremmo immaginare di veder sospeso , sia pure temporaneamente e con le dovute cautele, il nostro diritto alla privacy ? Il Garante per la privacy potrebbe vagliare l’ipotesi non certo di un azzeramento dei diritti ma di una temporanea limitazione per il bene collettivo? Una risposta è possibile trarre dalla dichiarazione adottata il 19 marzo scorso dalla European Data Protection Board ; nell’ importante documento a firma della Presidente del Board europeo, Andrea Jelinek, è stato evidenziato come il regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD) sia una normativa di 

ampia portata che contiene disposizioni che si applicano anche al trattamento dei dati personali in un contesto come quello relativo al COVID-19. Il RGPD consente alle competenti autorità sanitarie pubbliche e ai datori di lavoro di trattare dati personali nel contesto di un'epidemia, conformemente al diritto nazionale e alle condizioni ivi stabilite ; ad esempio se il trattamento è necessario per motivi di interesse

pubblico rilevante nel settore della sanità pubblica: in tali circostanze, non è necessario basarsi sul consenso dei singoli.

Nel contesto lavorativo, il trattamento dei dati personali può essere necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il datore di lavoro, per esempio in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro o per il perseguimento di un interesse pubblico come il controllo delle malattie e altre minacce di natura sanitaria. L’art. 9.2, lettera i del RGPD, prevede anche deroghe al divieto di trattamento di talune

categorie particolari di dati personali, come i dati

sanitari, se ciò è necessario per motivi di interesse pubblico rilevante nel settore della sanità pubblica sulla base del diritto dell'Unione o nazionale, o laddove vi sia la necessità di proteggere gli interessi vitali dell'interessato (articolo 9.2.c), ciò perché il “considerando” 46 fa esplicito riferimento al controllo di un'epidemia. Non può, tuttavia, sfuggire un passaggio significativo della ricordata dichiarazione dell’E.D.P.B. proprio in relazione al trattamento

dei dati delle telecomunicazioni: “è vero che devono essere rispettate anche le leggi nazionali di attuazione della direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche (direttiva e-privacy), ma è la stessa dichiarazione a valorizzare l’aspetto relativo alla possibilità di utilizzare in dati in forma aggregata , infatti: “ in

linea di principio, i dati relativi all'ubicazione possono essere utilizzati dall'operatore solo se resi anonimi o con il consenso dei singoli”. Analogo discorso vale per l’utilizzazione di dati di

localizzazione da dispositivi mobili per monitorare, contenere o attenuare la diffusione del COVID-19. Ciò implicherebbe, ad esempio, la possibilità di “geolocalizzare” i cittadini o di inviare messaggi di sanità pubblica ai soggetti che si trovano in una determinata area, via telefono o SMS. In tal caso, suggerisce per l’appunto l’ EDPB , le autorità pubbliche dovrebbero innanzitutto cercare di trattare i dati relativi all'ubicazione in modo anonimo (ossia, trattare dati in forma aggregata e tale da non consentire la successiva re-identificazione delle persone), il che potrebbe permettere di generare analisi sulla concentrazione di dispositivi mobili in un determinato luogo ("cartografia").

Ebbene, proprio l’European Data Protection Board evidenzia come l'art. 15 della direttiva e-privacy consente agli Stati membri di introdurre misure legislative per salvaguardare la sicurezza pubblica.

Si tratta, come noto, di una legislazione eccezionale utilizzabile solo se costituisce una misura necessaria, adeguata e proporzionata all'interno di una società democratica e naturalmente deve trattarsi di misure conformi alla Carta dei diritti fondamentali e alla Convenzione europea per la salvaguardia

dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Vi sarebbe, in ogni caso, non solo la garanzia rappresentata dal controllo (giurisdizionale) della Corte di giustizia dell'Unione europea e della Corte europea dei diritti dell'uomo ma anche quella rappresentata dalla possibilità di prevedere per gli utenti il diritto a un ricorso alla competente A.G.

Il Board europeo, tenuto conto dell'obiettivo specifico da raggiungere, invita , tuttavia, a privilegiare le soluzioni meno “intrusive” ragion

per cui le misure invasive come il "tracciamento" (ossia il trattamento di dati storici di localizzazione in forma non anonimizzata) se per un verso possono essere ritenute proporzionate in circostanze eccezionali e in funzione delle modalità concrete del trattamento , per altro verso necessitano di un controllo rafforzato e di garanzie più stringenti per assicurare il rispetto dei principi in materia di protezione dei dati (ossia , proporzionalità della misura in termini di durata e portata, ridotta conservazione dei dati, rispetto del principio di limitazione della finalità).

Appare evidente, dunque, che in presenza di situazioni di emergenza, quale appunto quella che stiamo vivendo, le misure in questione potrebbero essere senz’altro adottate nel rispetto dei principi sopra richiamati e principalmente quello della rigorosa limitazione

alla durata dell'emergenza e, aggiungerei, concrete garanzie di successiva distruzione dei dati acquisiti. In fondo potrebbe essere un “falso problema”, se solo consideriamo le “tracce” che più o meno consapevolmente lasciamo e forniamo anche solo quando utilizziamo un bancomat, una ricarica telefonica, una qualsiasi

applicazione per smart phone e accettiamo , talora con leggerezza, di cliccare su autorizzazione al trattamento dei dati personali ad esempio per accedere a servizi di e-commerce, ecc. Quando ci muoviamo sul web, in uno store virtuale, sarà forse perché prevale l’esigenza (talora indotta) di ottenere un bene o un servizio stando comodamente a casa che poco o per nulla) ci preoccupiamo della cosiddetta “profilazione” che, sia pure con le limitazioni previste dal GDPR , consiste come appiano nell’acquisire nostri dati, anche comportamentali, ed elaborarli, analizzarli o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le referenze personali, gli interessi, l'affidabilità, il

comportamento, l'ubicazione o gli spostamenti (art.24 GDPR).

E’ lo stesso GDPR a consentire, peraltro, la possibilità di deroga lla profilazione quando il trattamento dei dati sia “autorizzato a una legge o un regolamento”. In attesa di ulteriore provvedimento che segnerà forse la fine dell’indicazione generica del “paziente 0,1,2,” ecc. con freddi numeri con cui si sacrifica all'altare della privacy il timore  talvolta il composto dolore di tantissime famiglie ) , questa volta auspicabilmente condiviso dal normale iter parlamentare che porti in empi ad una legge che tenga anche al vaglio di costituzionalità, è

già stata sviluppata una nuova applicazione che sarebbe immediatamente utilizzabile dalla nostra Protezione Civile.