settembre 2019

PERSONAGGI "SCOMODI"

MALATESTA

e la concezione "etica" dell'Anarchia

Ha inizio, Con questa Rubrica, una Galleria di personaggi che la storiografia ufficiale sembra aver dimenticato o dei quali, comunque, ci ha consegnato un'immagine in molta parte diversa da quella reale, privilegiando l'aspetto che meglio colpisce l'immaginario collettivo, a danno delle sue reali entità umane e culturali , oltre che delle sue pulsioni sociali o politiche. Tra questi personaggi, il pensiero va subito - senza una precisa collocazione cronologica - a uomini come Mazzarino, Rasputin., Machiavelli ed altri, la cui opera ha segnato la storia degli ultimi secoli, pur non essendone stati protagonisti di primo piano. Ad aprire il panorama - per una precisa scelta di tipo... campanilistico del nostro Direttore - è l'anarchico Errico Malatesta, nato a S.Maria Capua Vetere nel 1853 e morto a Roma nel 1932, dopo una tormentata vicenda umana di cui ha lasciato traccia non trascurabile nei suoi scritti, un po' nascosti dall'intellighenzia politica europea, pur potendo essi - ad una attenta e serena lettura - rappresentare il seme di dottrine tutt'altro che superate, sia pure con gli immancabili aggiustamenti che la nuova società post-industriale impone. Buona lettura. E' sempre difficile occuparsi di un personaggio "scomodo" come, nella visione dei più, è considerato l'Anarchico Errico Malatesta. La sua vicinanza di concittadino, tuttavia, rende l 'impresa meno ardua, nella prospettiva di farne rivivere la figura, colmando una certa lacuna della memoria, un po' sbiadita, come la lapide marmorea apposta sul modesto piazzale a lui dedicato, nei pressi del ben più importante Corso De Carolis della città di S.Maria Capua Vetere,dove egli nacque nel 1853. Per la verità, la pubblicistica accademica e divulgativa sembra aver sistematicamente sottovalutato il ruolo del principale rivoluzionario italiano e, insieme all'anarchismo, lo ha progressivamente eliminato dalla storiografia ufficiale, relegandolo in una rappresentazione agiografica di agitatore e uomo d'azione. In realtà egli - come è possibile verificare ripercorrendo la sua opera ed i suoi scritti - fu anche , e soprattutto, il teorico e il pensatore che ha contribuito alla definizione dell' anarchismo nei confronti dell'individualismo, del riformismo e del sindacalismo, tendenze "autoritarie e borghesi". La sua visione etico-politica emerge in tutto il suo spessore allorchè egli scrive che "l'Anarchia, al pari del Socialismo , ha quale punto di partenza e fondamento l'eguaglianza di condizioni; ha per faro la solidarietà e per metodo la libertà". Ed ancora :"...incominciando a gustare un po' di libertà, si finisce col volerla tutta"! Vale , a questo punto, ricordare che il nostro, formatosi alla scuola di Bakunin e di Cafiero, aderì - nel 1872 - a soli diciannove anni, alla Internazionale Socialista e, ancor prima di diventare uno dei capi riconosciuti del movimento anarchico italiano, ebbe a subire vari processi, finendo anche in carcere per la sua attività di pensiero estrinsecatasi, fin dagli anni giovanili, nella pubblicazione di riviste a sfondo socio-politico, come "La questione sociale", edita a Firenze nel biennio 1883-1884. Costretto all'esilio, tornò in Italia nel 1894 per partecipare ai moti di Lunigiana (nel 1894) ed a quelli di Milano (nel 1898). Condannato al confino, riuscì a fuggire, riparando dapprima in Spagna e quindi in Inghilterra, da dove tornò in Italia, nel 1913 a Milano (dove fondò il quotidiano "La Volontà"), e quindi a Roma, dove morì nel 1932. E' doveroso segnalare che lo studio del pensiero e della vita di Errico Malatesta ha recentemente trovato un autorevole cultore in Gianpiero Berti che, nel suo libro ha offerto all'attenzione dei lettori, sia pure in chiave solo parzialmente sistematica, l'evoluzione storica del grande anarchico, inquadrandone simmetricamente il ruolo di uomo d'azione con quello di protagonista del dibattito teorico del movimento anarchico internazionale, dalla prima formulazione del "comunismo anarchico" al Congresso di Firenze del 1876, fino all' ultima riflessione sul pensiero di Pietro Kropotkin pubblicata sulla rivista "Studi Sociali" di Montevideo nel 1931. Un'approfondita esegesi dei testi malatestiani, dunque -e in particolare dei suoi scritti apparsi su Umanità Nova e su Pensiero e Volontà, (in ristampa anastatica , realizzata , nel 1935, senza, peraltro il necessario confronto con gli originali a stampa e con eventuali autografi di Malatesta) - potrà fornire la chiave di lettura per una serena comprensione della figura del Malatesta-Pensatore. E tuttavia, siffatta analisi, non potrà prescindere da una sorta di individuazione di gerarchia delle fonti, dal momento che la produzione di Malatesta risulta molto differenziata, costituita com'è anche da da scritti d'occasione. Si tratta, infatti, di una massa, all'interno della quale vanno identificati i testi in ragione del contenuto (teorici, strategici, tattici), ed enucleate le strutture comunicative più adatte a rendere comprensibile il contenuto per coloro a cui Malatesta si rivolgeva. Risulta, così, evidente, già prima facile, la notevole diversità tra gli scritti di Malatesta destinati a dibattiti approfonditi, (come quelli elaborati per relazioni congressuali, illustrazione del programma ) e gli scritti di divulgazione, gli articoli più o meno occasionali, fatti di terminologie e linguaggio di maggiore libertà espressiva. Il travaglio che accompagnò la stesura del Programma Anarchico -al quale Malatesta lavorò fin dal Congresso di Firenze - emerge dalla "premessa" che pone in evidenza la sua ideale continuità con il programma della Prima Internazionale. Il Programma,tuttavia, raggiunge la sua sistemazione efinitiva in coincidenza con il Congresso dell'U.A.I. del 1920. Questa data è colma di significato: essa rappresenta, infatti, non solo la principale assise anarchica del tempo che adotta il programma di Malatesta, ma dimostra anche che quel Programma costituisce la sintesi di un dibattito sviluppatosi sulla base delle esperienze di tanti militanti, della evoluzione del movimento di classe, del fallimento della pratica elettorale ed autoritaria e ne consacra il legame con l'organizzazione comunista anarchica.

E' innegabile che il Programma ha continuato ad essere un riferimento per molti militanti per i quali Errico Malatesta ha assunto un ruolo particolare di intellettuale, ossia quello di interprete di una riflessione collettiva. 

La scelta del Programma Anarchico è indubbiamente una scelta politica prima ancora che di indagine scientifica. Dalla sua riflessione è possibile ricavare, infatti, la soluzione di alcune contraddizioni del pensiero di Malatesta, come ad esempio quella sulla questione dell'unità di classe, allorché afferma,in molte occasioni, che l'unione di tutti i lavoratori è impossibile da ottenere, in numerosi articoli dello stesso periodo si pronuncia più o meno apertamente per l'unità sindacale. A ben vedere, è questa una contraddizione, che può essere sciolta se si pensa che, nel Programma, si afferma che l'unità dei lavoratori non è un presupposto necessario della rivoluzione, mentre negli articoli a cui si è fatto cenno, Malatesta punta ad obiettivi più immediati: la presenza di un maggior numero di militanti anarchici nella CGdL , per sottrarla al controllo dei dirigenti riformisti, l'alleanza delle strutture sindacali per combattere il fascismo. In quest'ottica, il Programma Anarchico è , dunque, illuminante anche su altre questioni, quali Il rapporto tra anarchia e storia, ad esempio, laddove si enuncia il seguente concetto: "la più gran parte dei mali che affliggono gli uomini dipende dalla cattiva organizzazione sociale". E' questo un concetto che rappresenta senza dubbio una situazione che è il prodotto di un'evoluzione storica: "solo ad un dato punto dello sviluppo delle forze produttive -scrive Berti nel suo ottimo saggio - i mali di cui soffrono gli uomini finiscono per essere effetto di cause naturali e divengono effetto di cause sociali; è a tale punto di sviluppo che si presenta la possibilità

dell'anarchia; è a tale punto di sviluppo che nasce l'esigenza di un movimento anarchico specifico. L'evoluzione storica, sociale, che porta all'affermazione dell'anarchia era d'altra parte ben presente a Malatesta, come liberazione dalla condizione di natura". Or bene, l'etica è il riferimento di tutta l'azione e la riflessione di Malatesta, ed anche il Programma Anarchico risente di questa impostazione. L'uso di questo concetto è però difficoltoso, in quanto nell'accezione comune rimanda ad un sistema di valori dati a priori, quindi trascendente. L'etica per Malatesta è, invece, immanente alla vita associata degli uomini: basta leggere "L'Anarchia" per comprendere come il principio di solidarietà non esista da qualche parte indipendentemente, ma si sia sviluppato e affermato come risultato dell' evoluzione naturale, della lotta degli uomini per sopravvivere. Per il Programma Anarchico è chiaro che l' organizzazione della società (dell'epoca, ma forse anche quella odierna n.d.r.) impedisce agli uomini di impegnarsi per il conseguimento della felicità: di qui la necessità di lottare per eliminare gli ostacoli materiali che si oppongono al raggiungimento della felicità, la cui premessa è la libertà. Solo l'uomo libero , infatti, - afferma Malatesta - può scegliere, e quindi scegliere la via che porta all'eliminazione della sofferenza, del male; ma la maggior parte dell'umanità non è libera, l'oppressione economica, lo sfruttamento che i capitalisti operano grazie alla proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio sulla massa dei lavoratori, è la causa principale dell'abiezione morale e materiale degli sfruttati. L'espropriazione dei proprietari è la premessa indispensabile della liberazione dell'individuo. L'etica quindi non è un riferimento a cui tende l'anarchia, ma si forma di pari passo col processo di liberazione degli uomini. Non vi è etica senza libertà, Malatesta non separa etica e politica: la prima riguarda il comportamento del singolo, la seconda il comportamento della collettività; ma poichè la collettività è l'insieme dei singoli, la felicità della collettività è data dalla somma della felicità dei singoli. Quindi l'etica presuppone un percorso di liberazione; essa presuppone l'abolizione della proprietà privata e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo; non solo: il miglioramento economico delle condizioni dei lavoratori è il presupposto della crescita morale dei lavoratori stessi. Secondo questa interpretazione, quindi il comportamento etico dei membri della società è il portato delle condizioni storiche concrete in cui si dà il processo di liberazione, il comportamento etico dei lavoratori e conseguenza delle lotte rivendicative del movimento operaio, accompagnate dall'azione di propaganda, di agitazione e di organizzazione svolta dall' avanguardia rivoluzione. L'etica, quindi, secondo Malatesta - è il prodotto della prassi rivoluzionaria, per questo è così importante che i rivoluzionari adoperino mezzi coerenti con i fini, perchè sono proprio i mezzi, il metodo, la prassi che svolge una funzione educativa, che forma l'abitudine, l'ethos appunto. Concludendo, secondo l'utopica (ed eretica...) concezione Malatestiana, l'azione trasformatrice della società trasforma anche i soggetti agenti e crea quei momenti collettivi che sono le cellule della nuova società. E' questo legame tra società presente e società futura, la mediazione della prassi rivoluzionaria che rende concreto il programma di Malatesta. Isolare un etica a priori da cui far derivare la scelta anarchica, spogliare l'anarchismo e l'anarchia da ogni legame con la realtà sociale in cui si trova ad operare e trasformarlo in una generica aspirazione umana, togliergli, in altre parole, le determinazioni concrete, lo trasformano in un ideale astratto ed impotente. E' questo il percorso del movimento anarchico dall'avvento del fascismo, che ha subito un'indubbia accelerazione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Di certo, Il movimento anarchico - tuttora presente nel tessuto della moderna società post-industriale - è ben lontano da quello dei tempi di Malatesta, e questo per due ragioni: da una parte il movimento dei lavoratori è riuscito a

 

migliorare le condizioni di vita degli sfruttati, e in secondo luogo perchè si è rivelata falsa l'affermazione del Programma Anarchico secondo cui la lotta economica sarebbe stata impotente a produrre il miglioramento delle condizioni dei lavoratori. Ancora oggi, dunque, la storia dei popoli attinge a piene mani al pensiero di un uomo la cui visione del mondo, adeguatamente rapportata al periodo storico dei primi decenni del novecento in cui visse, ne fa un eroe di un Socialismo Perfetto, e perciò stesso irrealizzabile, in una società in continua trasformazione, dove anche gli stessi ceti sociali sfuggono alle definizioni concettuali tipiche del secolo scorso !



di Mario Romano

Francesco Cossiga ( nato a Sassari il 26 luglio 1928 ; morto a Roma il 17 agosto 2010) è stato un politico, giurista e docente , ottavo presidente della Repubblica dal 1985 al 1992 quando assunse, di diritto, l'ufficio di senatore a vita. A seguito di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri ha potuto fregiarsi del titolo di presidente emerito della Repubblica Italiana. È stato ministro dell'interno nei governi Moro V, Andreotti III e Andreotti IV dal 1976 al 1978, quando si dimise in seguito all'uccisione di Aldo Moro. Dal 1979 al 1980 fu presidente del Consiglio dei ministri e fu presidente del Senato della Repubblica nella IX legislatura dal 1983 al 1985, quando lasciò l'incarico perché fu eletto al Quirinale. Nella XV legislatura ha sostenuto il riconoscimento della Nazione Sarda.Nato da una famiglia medio-borghese, repubblicana e anti-fascista, a sedici anni si diplomò, in anticipo di tre anni al Liceo classico «Azuni»; l'anno successivo si iscrisse alla Democrazia Cristiana e tre anni dopo si laureò in giurisprudenzaIscritto alla sezione sassarese della Democrazia Cristiana a 17 anni, conseguì la maturità in anticipo e si iscrisse al corso di laurea in giurisprudenza, per laurearsi, a soli vent'anni, nel 1948, iniziando una carriera universitaria che gli sarebbe in seguito valsa la cattedra di diritto costituzionale dell'Università di Sassari. In quegli anni ha fatto parte della FUCI con ruoli di primo piano nella FUCI di Sassari e a livello nazionale.Alla fine degli anni cinquanta, ancora trentenne, iniziò la sua folgorante carriera politica a capo dei cosiddetti giovani turchi sassaresi: eletto deputato per la prima volta nel 1958 divenne poi il più giovane sottosegretario alla difesa nel terzo governo Moro (23 febbraio 1966). Dal novembre 1974 al febbraio 1976 fu ministro della pubblica amministrazione nel Governo Moro IV. Il 12 febbraio 1976, a 48 anni, divenne ministro degli interni.L'11 marzo 1977, nel corso di durissimi scontri tra studenti e forze dell'ordine nella zona universitaria di Bologna venne ucciso il militante di Lotta continua Pierfrancesco Lorusso; alle successive proteste degli studenti, Cossiga, allora titolare del Ministero dell'interno, rispose mandando veicoli trasporto truppa blindati (M113) nella zona universitaria. A seguito di ciò - ed a seguito della morte per colpi d'arma da fuoco della militante di sinistra romana Giorgiana Masi sul Ponte Garibaldi - il suo nome venne scritto dagli studenti, per protesta, storpiandolo: con una kappa iniziale ed usando la doppia esse delle SS naziste.Nel gennaio 1978 riformò i servizi segreti dando loro la configurazione che avrebbero mantenuto fino alla successiva riforma del 2007, e creò i reparti speciali della Polizia NOCS e dei Carabinieri GIS.Il caso Moro Nel marzo 1978, quando fu rapito Aldo Moro dalle brigate rosse, creò rapidamente due "comitati di crisi", uno ufficiale e uno ristretto, per la soluzione della crisi.Molti fra i componenti di entrambi i comitati sarebbero in seguito risultati iscritti alla P2; ne faceva parte lo stesso Licio Gelli sotto il falso nome di ingegner Luciani. Tra i membri anche lo psichiatra e criminologo Franco Ferracuti. Cossiga richiese ed ottenne l'intervento di uno specialista americano, il professor Steve Pieczenik, il quale partecipò ad una parte dei lavori.Circa la presunta fuga di notizie per la quale le BR parevano a conoscenza di quanto si discutesse nelle stanze riservate, Pieczenik ebbe ad affermare nel 1994 che aveva via via richiesto di ridurre progressivamente il numero dei partecipanti alle riunioni. Rimasti solo Pieczenik e Cossiga, affermò lo statunitense «la falla non accennò a richiudersi». Cossiga in seguitò non smentì, ma parlò di «cattivo gusto».Non fu mai aperta alcuna trattativa con i sequestratori per il rilascio di Moro, il quale dalla sua prigionia scrisse a Cossiga dicendogli che «esiste un problema, postosi in molti e civili paesi, di pagare un prezzo per la vita e la libertà di alcune persone estranee, prelevate come

mezzo di scambio. Nella grande maggioranza dei casi la risposta è stata positiva ed è stata approvata dall'opinione pubblica».Cossiga diede le dimissioni da ministro dell'Interno in seguito al ritrovamento del cadavere del presidente della DC in via Michelangelo Caetani. Al giornalista Paolo Guzzanti disse: «Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle è per questo. Perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto. Perché la nostra sofferenza era in sintonia con quella di Moro».La presidenza del Consiglio dei ministri Appena un anno dopo, il 4 agosto 1979, fu nominato presidente del Consiglio dei ministri rimanendo in carica fino all'ottobre del 1980.Cossiga come presidente del consiglio fu proposto dal PCI per la messa in stato di accusa da parte del Parlamento, in votazione in seduta comune, con una procedura conclusasi con l'archiviazione nel 1980, l'accusa era di favoreggiamento personale e rivelazione di segreto d'ufficio.Cossiga fu sospettato di aver rivelato a un compagno di partito, il senatore Carlo Donat Cattin, che suo figlio Marco era indagato e prossimo all'arresto, essendo coinvolto in episodi di terrorismo, suggerendone l'espatrio.Il Parlamento in seduta comune ritenne però manifestamente infondata l'accusa, che era stata fatta procedere da parte della magistratura di Torino in seguito alle dichiarazioni del terrorista pentito Roberto Sandalo (Sandalo, soprannominato il "piellino canterino" perché fu uno dei primi pentiti dell'organizzazione terroristica Prima linea, aveva infatti riferito che in una conversazione con Marco Donat Cattin quest'ultimo gli avrebbe parlato dell'imminenza del suo arresto, appresa da fonti vicine al padre).Nel denunciare il favoreggiamento personale il PCI guidato da Enrico Berlinguer fu assai deciso nel ritenere che Cossiga fosse la fonte della fuga di notizie sulle indagini sui terroristi. Una possibile spiegazione di tanta certezza è offerta dalla nuova ricostruzione della vicenda offerta in un libro[6] e confermata in un'intervista del 7 settembre 2007 dallo stesso Cossiga ad Aldo Cazzullo del Corriere della sera: Cossiga ha infatti ammesso (vent'anni dopo i fatti con il reato ormai caduto in prescrizione) parte dell'addebito, ma - soprattutto - ha rivelato che lui stesso informò il cugino Berlinguer del fatto, attendendosi comprensione ed ottenendo invece che la notizia venisse utilizzata per una battaglia politica contro di lui.Dopo un periodo di allontanamento dalla vita pubblica nel 1983 si candida al Senato nel collegio Tempio-Ozieri e viene eletto Presidente del Senato della Repubblica.La Presidenza della Repubblica Nel 1985 divenne l'ottavo presidente della Repubblica Italiana, succedendo a Sandro Pertini. Per la prima volta nella storia repubblicana, l'elezione avvenne al primo scrutinio, con una larga maggioranza (752 su 977 votanti): Cossiga ricevette il consenso oltre che della DC anche di PSI, PCI, PRI, PLI, PSDI e Sinistra indipendente.La presidenza Cossiga fu sostanzialmente distinta in due fasi quasi eterogenee. Assai rigoroso nell'osservanza delle forme dettate dalla Costituzione (essendo peraltro docente di diritto costituzionale) fu il classico presidente notaio nei primi cinque anni di mandato. Unico indizio della sua futura posizione di denuncia delle reticenze del sistema politico fu la sua insistente richiesta di chiarire il ruolo del Capo dello Stato nel caso di conferimento dei poteri di guerra al Governo: ne derivò la nomina della Commissione Paladin.La caduta del muro di Berlino segnò l'inizio della seconda fase. Secondo Cossiga la fine della guerra fredda e della contrapposizione di due blocchi avrebbe determinato un profondo mutamento del sistema politico italiano che nasceva da quella contrapposizione ed era a quella funzionale. La DC e il PCI avrebbero dunque subito gravi conseguenze da questo mutamento, ma Cossiga sosteneva che i partiti politici e le stesse istituzioni si rifiutavano di riconoscerlo. Iniziò quindi una fase di conflitto e polemica politica, spesso provocatoria e volutamente eccessiva, e con una fortissima esposizione mediatica (fu detto il «grande esternatore»), al solo scopo di dare delle «picconate a questo sistema», che perciò valsero a Cossiga negli ultimi due anni di

mandato l'appellativo di «picconatore».Rimonta a quest'epoca l'abbandono, da parte sua, di uno dei più antichi tabù della politica democristiana, cioè quello che esorcizzava l'esistenza di illeciti: conformemente alla formazione "tavianea" della sua iniziale carriera politica, egli tenne moltissimo a dimostrare (quasi "pedagogicamente") agli italiani i costi che in termini di legalità avrebbe sostenuto il mantenimento della pace pubblica durante il cinquantennio in cui in Italia vi era il più forte partito comunista d'Occidente. Per converso, la caduta del muro di Berlino - da lui percepita come svolta epocale prima di molti altri statisti italiani, tanto da essere stato l'unico politico romano a presenziare alla prima seduta del Bundestag dopo la riunificazione nel 1990 - fu per lui la vera giustificazione della riduzione dei margini di tolleranza dell'alleato nordamericano verso la classe politica italiana della "Prima Repubblica": si tratta di una tolleranza che lui percepì scemare quando la CIA interferì pesantemente (ed infruttuosamente) nelle vicende politiche delle massime istituzioni italiane, nel 1989, tentando di impedire l'ascesa di Giulio Andreotti a palazzo Chigi, probabilmente a causa della sua politica filoaraba. Tra le esternazioni del presidente, vi fu quella contro il magistrato Rosario Livatino, definito sprezzantemente giudice ragazzino. Livatino fu assassinato dalla mafia nel 1990. Cossiga si dimise dalla presidenza della Repubblica il 28 aprile 1992, a due mesi dalla scadenza naturale del mandato, annunciando le sue dimissioni con un discorso televisivo che tenne simbolicamente il 25 aprile. 

Fino al 25 maggio, quando al Quirinale fu eletto Oscar Luigi Scalfaro, le funzioni presidenziali furono assolte, come previsto dalla Costituzione, dall'allora presidente del Senato, Giovanni Spadolini. Cossiga e Gladio Nel 1966, quando entrò per la prima volta al governo, Cossiga ricevette la delega, come Sottosegretario alla Difesa, a sovrintendere Gladio, sezione italiana di Stay Behind Net, organizzazione segreta dell'Alleanza Atlantica (di cui facevano parte anche Austria e Svezia).Le asserite responsabilità di Cossiga nei confronti di Gladio furono confermate dal medesimo interessato che, ancora presidente, ebbe a chiedere (il 21 novembre 1991, all'indomani della sentenza di incompetenza con cui il giudice Felice Casson aveva trasmesso gli atti su Gladio alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma) di essere processato e a definirsene «l'unico referente politico», precisando di «essere stato perfettamente informato delle predette qualità della struttura». La richiesta di messa in stato di accusa Il 6 dicembre 1991 fu presentata in parlamento da parte dell'allora minoranza la richiesta di messa in stato di accusa per Francesco Cossiga.

Tra i firmatari delle mozioni vi erano Ugo Pecchioli, Luciano Violante, Marco Pannella, Nando Dalla Chiesa, Giovanni Russo Spena, Sergio Garavini, Lucio Libertini, Lucio Magri, Leoluca Orlando, Diego Novelli.Il comitato parlamentare ritenne tutte le accuse manifestamente infondate, come si legge negli atti parlamentari del 12 maggio 1993. La Procura di Roma richiese l'archiviazione a favore di Cossiga il 3 febbraio 1992 e l'8 luglio 1994 la richiesta fu accolta dal tribunale dei ministri.Cossiga scrisse: "il Partito comunista sapeva dell'esistenza di un'organizzazione segreta con le caratteristiche di Gladio. Lo dico perché ne fui informato da Emilio Taviani. (…) Perché i comunisti lanciarono comunque quella campagna e perché inserirono i fatti di Gladio tra le accuse che portarono alla richiesta di incriminazione nei miei confronti? Credo di avere la risposta. Quello dei comunisti fu fuoco di controbatteria: era da poco crollato il Muro di Berlino e temevano che potessero arrivare da quella parte notizie di chissà che genere sul loro conto; quindi, per evitare di trovarsi in imbarazzo, cominciarono a sparare nel mucchio. E io, (…) fui colpito per primo in quanto presidente della Repubblica" (Francesco Cossiga, La versione di K, pag. 159).Sfaldatasi la DC ed essendosi i suoi esponenti divisi fra i due poli di centrosinistra e centrodestra, Cossiga decise in un primo momento di ritirarsi dall'attività di partito e di svolgere soltanto l'attività di senatore a vita.

Successivamente, nel febbraio del 1998, diede vita ad una nuova formazione politica, l'Unione Democratica per la Repubblica (UDR), con l'intenzione di costituire un'alternativa di centro e ricompattare le forze ex-democristiane.L'UDR raccolse l'adesione dei Cristiani Democratici Uniti di Rocco Buttiglione e di Clemente Mastella, alla guida di un gruppo di scissionisti del Centro Cristiano Democratico. Tra coloro che aderirono all'UDR ci furono anche Carlo Scognamiglio, Angelo Sanza e Pellegrino Capaldo.Quando Rifondazione comunista fece mancare il suo appoggio al governo Prodi I, che venne battuto alla Camera per un voto, Cossiga fu determinante per la formazione del governo D'Alema I. Il suo appoggio venne deciso, come Cossiga spiegò in una conferenza stampa [3] all'uscita dalle consultazioni con il presidente Scalfaro, per sancire irrevocabilmente la fine della conventio ad excludendum nei confronti del PCI. Massimo D'Alema fu il primo presidente del Consiglio a provenire dalle file dell'ex PCI.Per l'occasione Cossiga regalò al novello capo del Governo in Parlamento un bambino di zucchero, ironizzando un desueto luogo comune su usanze cannibalistiche dei comunisti. Nel frattempo il senatore Marcello Pera gli lanciava epiteti come discendente di barbaricini, briganti e rapitori, a cui Cossiga rispondeva ricordando le proprie origini familiari "contrariamente a chi ha un cognome di cosa, come si usava dare alle famiglie la cui origine era ignota". L'UDR entrò anche a far parte del governo D'Alema nella persona di Carlo Scognamiglio, che fu nominato Ministro della Difesa.Dopo un anno di vita, l'UDR si sciolse e larga parte di essa confluì nel nuovo soggetto politico creato da Clemente Mastella, l'UDEUR. Cossiga vi aderì in maniera puramente simbolica, per fuoriuscirne definitivamente il 6 novembre 2003, quando abbandonò, al Senato, il gruppo misto per iscriversi al gruppo per le autonomie.Nel giugno 2002 ha annunciato le dimissioni da senatore a vita, che peraltro non ha presentato.Cossiga ha collaborato attivamente con diversi quotidiani, scrivendo anche sotto lo pseudonimo "Franco Mauri" per Libero e "Mauro Franchi" per Il Riformista. Alla fine del 2005 ha pubblicato sul quotidiano Libero una lettera nella quale ha annunciato di non volersi più occupare attivamente della politica italiana, ma non pare avervi dato pienamente seguito.Il 15 maggio 2006 presenta in Senato il DDL Costituzionale n. 352, per la riforma delle istituzioni Sarde ed il riconoscimento della Nazione Sarda.Il 19 maggio 2006 ha votato la fiducia al governo Prodi II.Il 27 novembre 2006 ha presentato al presidente del Senato, Franco Marini, le dimissioni da senatore a vita, ritenendosi «ormai inidoneo ad espletare i complessi compiti e ad esercitare le delicate funzioni che la Costituzione assegna come dovere ai membri del parlamento nazionale». Le dimissioni sono state respinte dal Senato in data 31 gennaio 2007: il numero dei senatori contrari alle dimissioni è stato di 178, i favorevoli 100 e gli astenuti 12.L'intera vicenda si è sviluppata in seguito a un'interpellanza parlamentare del mese di novembre 2006 nella quale il presidente emerito richiedeva al ministro dell'Interno Giuliano Amato di chiarire i motivi del pagamento di due giornalisti da parte del dipartimento della Pubblica sicurezza, diretto dal prefetto Giovanni De Gennaro. Data la non immediata disponibilità a chiarire direttamente la vicenda da parte del ministro Amato, in aula venne letta una risposta scritta da De Gennaro. Non condividendo il comportamento tenuto dal Ministro, Cossiga ribatteva con una delle sue note picconate: «[Ha preferito rispondere] lo scagnozzo di quel losco figuro (tale Roberto Sgalla) del capo della Polizia che si chiama Gianni De Gennaro [...]». Nella stessa data, prima del voto di cui sopra, Francesco Cossiga ha presentato pubbliche scuse allo stesso De Gennaro.Il 6 dicembre 2007 è stato determinante per salvare dalla crisi il governo Prodi, con il suo sì al decreto sicurezza, sul quale l'esecutivo aveva posto il voto di fiducia.Sempre nel 2007 è stato componente del comitato promotore del pensiero di Antonio Rosmini, in occasione della sua beatificazione avvenuta il 18

 

novembre 2007.Nel 2008 Cossiga ha votato la fiducia al governo Berlusconi IV; in precedenza aveva votato la fiducia a Berlusconi un'altra volta, nel 1994 (governo Berlusconi I).Il 23 ottobre 2008, in un'intervista al Quotidiano Nazionale, propone al Ministro dell'Interno Maroni la sua soluzione per contenere il dissenso universitario nei confronti della legge 133/2008: evitare di chiamare in causa la polizia, ma screditare il movimento studentesco infiltrando agenti provocatori, e solo allora, dopo i prevedibili disordini, "le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale". Nell'affermare ciò Cossiga sostiene che il terrorismo degli anni '70 era partito proprio dalle università, e conferma di avere già attuato una strategia simile quando egli stesso era stato Ministro dell'Interno. In seguito a questa intervista Alfio Nicotra, della direzione nazionale del Prc e responsabile del Dipartimento Pace e Movimenti del Prc ha chiesto di riaprire l'inchiesta sulla morte di Giorgiana Masi, uccisa in circostanze non ancora chiarite durante una manifestazione nel 12 maggio 1977, periodo nel quale stesso Cossiga era ministro dell'Interno. Inoltre la senatrice Donatella Poretti (Radicale eletta nelle file del PD) ha deciso di depositare un disegno di legge per l'istituzione di una commissione d'inchiesta sull'omicidio della Masi.Morte Francesco Cossiga viene ricoverato in rianimazione al Policlinico Gemelli di Roma il 9 agosto 2010 per gravi problemi respiratori Muore il 17 agosto 2010 per insufficienza respiratoria causata da crisi cardio-circolatoria.Prima di morire, allegate al testamento, Cossiga aveva incluso quattro missive, rese pubbliche e indirizzate ai vertici dello stato (Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, Presidenti della Camera e del Senato: Giorgio Napolitano, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Renato Schifani). Tali lettere, datate 18 settembre 2007, erano state sigillate per essere consegnate solo dopo la sua morte. Delle personalità in carica all'epoca della scrittura, solo Giorgio Napolitano ricopriva ancora il proprio ruolo (gli altri erano: Romano Prodi, Franco Marini, Fausto Bertinotti)Cossiga è sepolto nel cimitero comunale di Sassari, nella tomba di famiglia, poco distante dalla tomba di Antonio Segni.



MARCO PANNELLA, EROE SOLITARIO DI UNA BATTAGLIA CIVILE INFINITA!

di Mario Romano

Non sembri strano, dopo aver parlato, in questa rivista, (nella rubrica dedicata ai "Personaggi scomodi") di persone come Malatesta, Rasputin, Machiavelli ed altri, dedicare una pagina a Pannella, eroe solitario del secolo scorso,tuttora operante in questo secondo tormentato millennio. Non dimentichiamo, infatti, che, nell' ideale galleria inaugurata, qualche anno fa', con il nostro concittadino Enrico Malatesta, abbiamo incluso una figura dai tratti forti e contraddittori, come Francesco Cossiga, che - specie nella seconda parte della sua esistenza - seppe trasformarsi da uomo delle istituzioni, in fustigatore della cosa pubblica, con tale veemenza, da meritarsi un posto accanto ad uomini come Pannella, da sempre collocato fuori dal recinto del potere e della rappresentatività istituzionale, pur avendo ricoperto cariche pubbliche (deputato italiano ed europeo), ma mai quelle di grand comìs dello Stato! Questo scritto, dunque, intende rappresentare un'attestazione di affetto e di stima verso questo giovane...ottantenne, che continua, con la stessa testarda veemenza , le sue battaglie per conquiste civili, troppo spesso trascurate dai politici di professione. L'ultima, in ordine di tempo, è quella che sta combattendo - con il suo ennesimo digiuno - per svegliare l'attenzione del Parlamento e del Governo sul problema del sovraffollamento carcerario e della lungaggine infinita delle procedure giudiziarie. Si avverte un senso di smarrimento nel constatare come i partiti tradizionali (identificabili con sigle nominalistica mente nuove), pronti - in passato - a cavalcare le battaglie di questo Eroe solitario, riguardanti fatti di larga risonanza sociale come il divorzio o l'aborto, tacciono quando la protesta 

pannelliana si focalizza su un tema apparentemente "minore", come quello che riguarda il trattamento dei detenuti in espiazione di pena e in attesa di giudizio,che - evidentemente - non interessa le masse e, quindi, non porta voti ! Il ceto politico, tutto accomunato da un ammuffito buonismo (di facciata) sembra esorcizzare certi argomenti , escludendoli dalla propria agenda, fitta di riforme (quelle sì, inutili quanto inefficaci:basti pensare alla contestatissima "media-conciliazione"): lo stesso metodo del silenzio-negazione è, poi, adottato dai media televisivi! Se questa conventio ad escludendum non risponde al vero, saremo grati a chi - tra i nostri lettori - sarà in grado di segnalarci le occasioni in cui a Pannella è stato concesso qualche minuto da parte di san floris, san toro,san vespa o sant'annunziata... I "Quattro santi" del tubo catodico, infatti - che nulla hanno da spartire con i "Four Saints", glorioso quartetto jazz degli anni sessanta - sembrano obbedire ad un patto di (dis)onore, offrendo sistematicamente le loro poltrone ai soliti noti (tonino, pierferdy, italo ecc.), ma ignorando il volto e i travagli morali di Marco Pannella ! Va, dunque, fatto pubblico plauso al Presidente Giorgio Napolitano per aver manifestato il suo affettuoso interessamento per la persona (e le opere) di Pannella; così come meritano apprezzamento le dichiarazioni di solidarietà di quanti (come gli Avvocati delle Camere Penali italiane e non solo) hanno attivamente fatta propria la battaglia di Pannella: ad essi, con la pubblicazione di questo articolo, si unisce, con convinzione, scevra da appartenenze di schieramento, l'intera redazione di Giustiziaoggi, fiduciosa che la voce di Marco, anche quando è flebile, rappresenta un urlo che squarcia le coscienze di quanti si ostinano a non sentire!



MASSIMO BORDIN: UN MAESTRO DI GIORNALISMO E DI VITA

di Mario Romano

Era diventata una piacevole consuetudine quella di intrattenere un quasi quotidiano colloquio radiofonico con la inossidabile (giovane ultranovantenne) Laura Arconti ed ancor più la mezz’ora dedicata all’ascolto della Radio Radicale con l’acuta lezione politica sottesa alla lettura critica dei giornali italiani da parte di Massimo Bordìn. A quasi due anni dalla scomparsa, la sua figura e l’intensità che traspariva dal suo lavoro tornano alla nostra mente come un patrimonio di passione civile ineguagliato ed ineguagliabile. La sua voce ruvida, ma piacevolissima, era la splendida cornice dei commenti sempre centrati e mai banali con cui, da autentico campione del Giornalismo, ha accompagnato milioni di ascoltatori! Con la sua maniera di analizzare le notizie dei quotidiano, spregiudicatamente fuori dagli schemi e talvolta, perfino, in disaccordo con l'indimenticabile Pannella (che gli faceva da contrappunto con eleganti provocazioni di natura socio-politica), Egli ha avuto la capacità di rendere accattivante e istruttiva la rassegna stampa, rubrica che - sia detto senza alcun intento inutilmente polemico - da parte di molti degli altri commentatori radio-televisivi appare quasi sempre condotta con pesante “monotonia e assenza di colore che evocano il ricordo dello scaffale dell'analista con le bottigline tutte uguali", secondo una cruda, quanto veritiera, similitudine di Sergio Saviane, brillante scrittore e giornalista degli anni sessanta, alla cui arguzia si deve la simpatica definizione di “mezzibusti” attribuita ai lettori del Tg, da allora costretti (!) a leggere in piedi ! Sempre acute le osservazioni di Massimo su “Il Foglio” nella pagina intitolata Bordin line, rubrica che, insieme al libro “Il Complotto” (scritto a quattro mani con Massimo Teodori), gli valse, nel 2009, l’aggiudicazione di un importante Premio di Giornalismo, la cui motivazione ci piace riportare, quale sintesi efficace della sua personalità:“A Massimo Bordin, il Collega che da anni ci sveglia ogni mattina con le sue puntuali, professionali e graffianti rassegne stampa, cesellando i fatti con opinioni di rara acutezza libertaria”.

La scomparsa di Bordìn, dunque, rappresenta molto più che la perdita di una voce e chi lo amato non può che augurarsi che, per non oltraggiarne la figura e l’appassionata attività, non si consumi l'intento liberticida di soffocarne il ricordo, decretando la fine della "sua" Radio, che gli era rimasta nel cuore pur dopo il sofferto distacco dalla sua direzione, dovuto a divergenze di opinioni e non di potere con l’amico Marco Pannella. Ancora una volta, dunque, attraverso queste colonne, GIUSTIZIAOGGI ricorda, il Maestro di vita e di fede laica che troppo presto ci ha lasciato.

 

Di lui, tuttavia, ne siamo certi, resterà indelebile il pensiero limpido, espresso attraverso i suoi scritti e la sua roca vocalità, sempre ricco di profondi significati socio-culturali, ben oltre le visioni politiche cui non si era mai acriticamente uniformato !

La scomparsa di Bordìn, dunque, rappresenta molto più che la perdita di una voce e chi lo amato non può che augurarsi che, per non oltraggiarne la figura e l’appassionata attività, non si consumi l'intento liberticida di soffocarne il ricordo, decretando la fine della "sua" Radio, che gli era rimasta nel cuore pur dopo il sofferto distacco dalla sua direzione, dovuto a divergenze di opinioni e non di potere con l’amico Marco Pannella. Ancora una volta, dunque, attraverso queste colonne, GIUSTIZIAOGGI ricorda, il Maestro di vita e di fede laica che troppo presto ci ha lasciato.

 

Di lui, tuttavia, ne siamo certi, resterà indelebile il pensiero limpido, espresso attraverso i suoi scritti e la sua roca vocalità, sempre ricco di profondi significati socio-culturali, ben oltre le visioni politiche cui non si era mai acriticamente uniformato !